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Riforma della scuola, rinnovamento del corpo docente

Sono terminati da pochi giorni gli esami di maturità 2019, anno in cui è stata varata una nuova formula di esame: due prove scritte su tre materie e prova orale su tutte le materie muovendo da un argomento fuori programma; votazione in centesimi basata per 40/100 sulla votazione media degli ultimi tre anni di scuola e per 60/100 sull’esame di maturità, 20/100 per ciascuna prova, con un bonus discrezionale di 5/100 assegnabile a discrezione della commissione se i voti delle tre prove di esame superano 50/100.

Il meccanismo non è dei più semplici ma in sé porta elementi interessanti e meritevoli. Dare maggior peso alla storia scolastica dell’ultimo triennio segnala un’attenzione giusta al rendimento protratto nel tempo e mitiga gli effetti delle prestazioni estemporanee d’esame dove tensioni, fortune e suggerimenti possono alterare la misura del valore degli studenti; richiedere ai maturandi la capacità di interconnettere le materie studiate è meritevole perché sprona i ragazzi a cercare un quadro d’insieme che, in teoria, meglio ripaga la fatica di tante ore passate sui banchi e sui libri di scuola; lasciare una piccola discrezionalità alla commissione d’esame per premiare chi si è particolarmente distinto, o nel triennio o all’esame o in entrambe le circostanze, è condivisibile in principio nella prospettiva di giudicare l’iter personale di ciascuna persona al termine della scuola superiore.

Sono evidenti, tuttavia, anche alcune pericolose possibili distorsioni, tra cui primeggiano la mano libera lasciata ai professori di “livellare” a piacere i voti finali (1) e, soprattutto, la possibilità di superare l’esame di Stato anche per chi si presenta con 6/10 di media nel triennio e in ciascuna prova di esame consegue l’equivalente di 5/10. Il rischio teorico generale, dunque, è che venga premiata più l’impreparazione dell’impegno.

Detto tutto questo, però, ciò su cui più mi interessa sollevare l’attenzione è il comportamento del corpo docente, in particolare quello interno, rispetto al quesito:

come e cosa si valuta in sede di esame? Cosa determina il valore scolastico degli studenti?

Queste domande sono tanto più importanti quanto più si pensa che l’enorme beneficio dello studio risieda nel comprendere le relazioni tra sé e le nozioni che si acquisiscono.

In questo senso, vorrei richiamare l’enciclopedia Treccani per chiarire una confusione semantica che la nostra lingua oggi lascia nella distinzione tra sapere e conoscere, da una parte, e sapienza (o il sapere) e conoscenza, dall’altra. Nella declinazione verbale, conoscere si differenzia da sapere per la maggiore profondità di consapevolezza che l’esperienza porta: in altre parole, sperimentare o fare esperienza – dunque una relazione tra sé e una materia, una persona ecc. – permette di acquisire informazioni e particolari più profondi che unite alle nozioni iniziali formano un grado di comprensione meglio espresso dal verbo ‘conoscere’ (2). La medesima distinzione si esprime al contrario, invece, quando si passa all’uso dei sostantivi ‘conoscenza’ e ‘sapienza’, dove il beneficio incrementale dell’esperienza e della relazione è racchiuso nel concetto di sapienza.

Dunque, l’esame di maturità misura quanto gli studenti conoscono o sanno?

Se la scuola ponesse al centro i giovani e fosse il luogo dove si insegna e si apprende il sapere come valore (A cosa serve la scuola?) allora l’intero percorso didattico del quinquennio muterebbe e la risposta al quesito sarebbe legittimamente di misurare alla fine quanto i giovani conoscono. Ma oggi questa aspettativa è purtroppo utopica perché i primi che faticano a dimostrare ciò che conoscono sono proprio i professori.

Quanti temuti professori di matematica sono in grado di spiegare che relazione c’è tra i teoremi di Talete e la letteratura greca, ovvero tra uno studio di funzione e la scelta universitaria dei propri alunni? Al pari, quante insegnanti di latino o greco sarebbero in grado di collegare Plutarco con il nazismo? Eppure queste relazioni possono essere illustrate e forse risulterebbero più interessanti (e utili) agli studenti rispetto alle tradizionali lezioni su formule e semantica usata nelle Vite parallele.

Tanti racconti degli ultimi esami da più parti d’Italia confermano il mio dubbio sul grado di conoscenza dei prof. Un tema di una studentessa con un curriculum esemplare in italiano è stato giudicato da 10/20 (il tradizionale 5) per l’inadeguatezza del paragone della lotta alla mafia alla guerra civile. Ci sono biblioteche di fior fiori di scrittori sul medesimo paragone!!! Un altro tema è stato penalizzato di quattro punti perché tre paragrafi su cinque pagine sono risultati per un docente di latino e greco “un po’ astratti”. Traduzioni penalizzate di quattro punti perché “non hai espresso lo stile storiografico di Tacito”. L’argomento fuori programma da cui partire per collegare tutte le 10 materie di un liceo classico è stato “La sintesi dell’urea” e così si potrebbe continuare.

In questa prospettiva, l’unico aspetto che rileva è quante nozioni sai e non ciò che conosci. Ed è proprio nella differenza sopradescritta, a mio avviso, si può riscontrare la totale inadeguatezza di una vastissima parte del corpo docente delle scuole superiori in Italia. Molti di essi sanno (forse) ma non conoscono e quindi non sono in grado di insegnare come procedere nel cammino della sapienza ma si limitano all’ambito della conoscenza. Così, il voto rimane l’unica “relazione” tra studente e materia ed è, circostanza ancora peggiore, nelle sole mani di docenti che lo vivono come strumento di comando, ricatto, dominio sugli studenti. Nessuna sorpresa, dunque, se lo spirito del novellato esame di maturità è stato spesso disatteso: l’aspettativa di saper contestualizzare l’esame tenendo conto dei cinque anni di storia passate e del futuro alle porte si è rivelata spessa troppo audace. Come spiegare ad uno studente con un curriculum di eccellenza che non può accedere alla facoltà di Ingegneria a Oxford perché il requisito posto dagli inglesi di un voto di maturità non inferiore a 98/100 non può essere soddisfatto in quanto la commissione ha giudicato la prestazione complessiva con 96/100? E forse questo risultato è dipeso dal fatto che, malgrado lo studente si fosse presentato con 39/40 in base alle medie triennali, abbia conseguito 20/20 all’orale e il bonus pieno assegnato, gli scritti sono stati valutati 16/20 ciascuno. Ma come è concepibile che una commissione di insegnanti, degni di questo nome, possa negare ad uno studente modello (39/40 significa più di 9 di media per tutti i tre anni!!) che all’orale conferma una preparazione eccellente di accedere ad un percorso universitario agognato e di grande prestigio solo perché qualcuno ha valutato un tema e una seconda prova con 16 e non 17/20???

Se si vuole veramente riformare la scuola, si deve partire da qui, dal rinnovamento dei docenti. E lo dico anche per quei tanti, ma nel complesso minoritari, professori che invece conoscono tanto e si sperticano nel voler trasmettere sapienza: questi devono tornare ad avere un riconoscimento sociale e una remunerazione all’altezza del lavoro preziosissimo che svolgono!

La partita in gioco non è (solo) il voto, che peraltro oggi pesa per l’accesso all’università, ma il messaggio che implicitamente viene trasmesso sul valore dello studio e sulla vera forza che il valore del sapere offre nell’arco di una vita: quando un giorno un esperto di finanza algoritmica vorrà o dovrà cambiare lavoro, potrebbe tornare molto utile conoscere il pensiero di Popper e la storia dell’arte moderna per avviare una nuova attività imprenditoriale nel mondo dell’abbigliamento.

Un’ultima riflessione a suffragare l’esigenza di rinnovamento del corpo docenti riguarda la loro pressoché totale inesperienza professionale al di fuori della scuola: ossia in luoghi dove non hanno un ruolo di “supremazia”, dove la capacità di instaurare relazioni vere, fondate sulla capacità di creare valore, sono lo strumento principale per mantenere il proprio lavoro, dove la gestione dei rapporti con colleghi, riporti diretti e soggetti loro preposti permetterebbe un domani di saper gestire anche genitori invadenti, maleducati e spesso accusatori senza motivo.

Non so come ma la lotta per una vera riforma della scuola deve essere combattuta perché la vera qualità della vita futura di un’intera società dipende dalla formazione e della cultura della classe dirigente e tutto questo inizia in maniera decisiva a scuola, piaccia o no.

Simone Rondelli

(1) La condizione di 50/60 nelle tre prove d’esame per concedere il bonus carica le prove scritte di una valenza superiore all’orale e lascia tale discrezionalità ai soli singoli professori – e non all’intera commissione - che correggono temi e seconda prova.

(2) Alcuni esempi per riportare la distinzione nel linguaggio comune. Dire ‘conosco l’inglese’ o ‘so l’inglese’, oppure ‘conosco Mario’ o ‘so chi è Mario’ esprimono differenze di grado e qualità: il verbo conoscere implica una relazione, mentre sapere rimane in un ambito più astratto.

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