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L’orgoglio dell’Essere e la trappola dell’Apparenza

Negli ultimi mesi i miei pensieri sono stati trascinati in modo confusionario in un’alternanza di euforia per nuovi obiettivi raggiunti e riflessione circa la mia continua disapprovazione delle condotte - assurte a “normalità” - del contesto sociale e politico che mi circonda.

Da un lato, l’impegno a rendermi utile alla soddisfazione umana altrui mi ha restituito molti benefici in famiglia, sul lavoro e nei rapporti di amicizia; dall’altro, osservando ed ascoltando la prevalenza dei comportamenti di chi è elevato a “modello” di riferimento ovvero di chi ha – pur anche benevoli - intenzioni e possibilità di influenzare le grandi masse, la sensazione di mio disadattamento sociale si è ampliata in larga scala.

Le situazioni cui mi riferisco sono tante ma il fattore che le accomuna nella loro quasi totalità è il predominio dell’Apparenza, o meglio la priorità assoluta attribuita a come si viene percepiti rispetto all’autenticità di ciò che si pensa o si è e alla volontà di trasmetterla agli altri.

Non voglio essere frainteso: l’apparenza ha un grandissimo merito sia perché è un importante mezzo di comunicazione sia perché, specie nella forma verbale, veicola il rispetto verso gli altri. Ciò che non comprendo e molto spesso mi disturba molto è la scelta di nascondere in tutto o in parte la verità del pensiero o delle proprie caratterizzazioni personali.

A partire dalla politica fino alle chiacchiere tra amici, per esempio, “buttare via il bambino con l’acqua sporca” è divenuta abitudine e prassi consolidata: qualunque affermazione di un avversario politico è sempre sbagliata e da criticare; basta osservare alcuni oggetti in una vetrina che non piacciono per additare quel negozio come rivendita di “schifezze”; quando una persona compie un sbaglio (più o meno grande) diventa soggetto deplorevole nella sua interezza, senza che vi sia alcuno spazio per ragionare sulle ragione dell’errore o sulle note positive che magari il medesimo soggetto mantiene.

Il problema non è avere delle opinioni anche nette, ci mancherebbe! … tanto più se a dirlo è una persona tacciato di essere opinionated come il sottoscritto … Invece il mio fastidio schizza alle stelle quando queste posizioni assumono toni assoluti o anche solo personalmente irreversibili senza un’argomentazione coerente e compiuta e senza accettare un vero contradditorio, ovvero senza riconoscere elementi oggettivi dell’argomentazione altrui. Ma la mia sensazione di disadattamento trova il suo culmine quando la richiesta di un confronto vero è evaso o rifiutato in quanto ritenuto inopportuno per tutti, non “socialmente” utile o necessario.

Recenti esempi di dominio pubblico sono state le accuse al Prof. Cacciari di essersi “rincoglionito” o di “accusare l’avanzare dell’età” in risposta alla tesi avversa al Green Pass o all’obbligo vaccinale anti-Covid proposta dall’accademico: perché la critica diffusa su ogni mezzo di stampa deve essere apodittica senza contro-argomentazione puntuale, sul medesimo piano? Oppure, perché si deve additare Giorgia Meloni di proclami fascisti in nome della sua medesima opposizione ai citati provvedimenti sanitari, nonostante l’ossimoro sia evidente? E poi, a parità di tesi, perché la Meloni sì e Cacciari no?

La risposta, almeno l’unica con cui riesco a spiegare l’unanimità editoriale, è la forza di apparire alternativamente a fianco del Prof. Draghi o in antitesi ‘senza se e senza ma’ alla politica di destra (per così dire), a prescindere dal vero convincimento sottostante ma per conveniente omologazione del momento. Per chiarezza, sono personalmente convinto che il Prof. Draghi sia il miglior primo ministro che potessimo avere in questa difficile fase della vita politica e sociale italiana, e sono in favore dell’uso del Green Pass come incentivo ad una vaccinazione che ritengo la sola strada per poter ritrovare normalità nella vita civile; ciò non toglie che, parimenti, riconosca il fondamento logico e concettuale anche di alcune delle ragioni di chi dissente.

La stessa prevalenza dell’Apparenza si ritrova nei proclami a favore del primato della cultura senza però far seguire iniziative concrete. Insieme ad altri membri del Consiglio di Istituto di un plesso scolastico privato che si estende dalla primaria fino alla secondaria di secondo grado, abbiamo segnalato per oltre un anno la necessità di innovare il sistema didattico all’insegna di un più proficuo apprendimento degli studenti non già delle nozioni ma dell’importante relazione che lega le materie di studio a loro stessi come persone. A parole tutti d’accordo, nei fatti la resistenza più ferrea. Perché? Il motivo è stato presto scoperto: oltre l’apparente adesione ad un cambiamento centrato sugli studenti, ha prevalso il vero credo degli organi superiori al Consiglio di esser più attenti all’immobilismo che garantisse serena continuità ai docenti e all’organizzazione preposta, compreso il rapporto con il MIUR.

La riflessione che ne consegue è un’ennesima provocazione: quando si lascia prevaricare l’Apparenza significa che o non si è “orgogliosamente convinti” delle proprie idee ovvero non si hanno idee o non si è felici di mostrare il proprio Essere agli altri. In questo caso, l’Apparenza diventa il prefetto strumento attraverso cui scaricare l’assunzione di responsabilità personale per ciò che si pensa o per chi si è.

Al contrario, quando l’Apparenza esplicita l’Essere in modo fedele, si è contenti di assumersi in proprio le responsabilità dell’agire, anche a costo di critiche avverse, in quanto ci sente forti del proprio vissuto per difendersi e migliorare, inclusa la possibilità di cambiare posizione.

Scendendo in un esempio di molta minor rilevanza sociale, quando una donna o un uomo veste abiti o gioielli “di moda”, meglio se di marca, ma che non hanno nessuna portata estetica, spesso queste persone cercano di nascondere l’assenza di una propria identità estetica o di un gusto proprio dietro una marca o a quello che chiamo “gusto di gregge”, ossia che piace perché lo sposano in tanti. Di per sé nessun problema, salvo sottovalutare la possibile trappola che vi sottende: l’impressione che suscitano in chi li osserva. Eh sì, perché chi è spettatore di questa scelta associa l’impersonalità dell’abito o del gioiello all’impersonalità di chi lo veste.

Di stessa guisa, è la potenziale trappola in politica e nella vita sociale o famigliare. Chi, anche solo con un minimo di senso critico, legge l’opposizione a Cacciari o alla Meloni espressa in modo apodittico scopre facilmente la vacuità degli argomenti messi in campo e tende a non ritenere credibile, pur condividendone le conclusioni, colui o colei che ha mosso l’opposizione. L’istituto scolastico che erige l’immobilismo a bandiera inamovibile non potrà che perdere adesioni nel tempo perché i proclami di facciata vengono smentiti agli occhi di studenti e genitori senza possibilità di smentita.

Ancora una volta, dunque, l’esortazione, soprattutto ai più giovani, rimane quella di attribuire massima importanza al proprio processo di crescita per giungere ad Essere persone felici sia di Apparire per come sono in verità sia di assumersi le proprie responsabilità.

Simone Rondelli

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