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Recuperare la vera libertà

Il quadro sociale, economico e politico internazionale diventa ogni giorno sempre più complicato. Senza nulla togliere alla bellezza della vita, è pur vero che oggi ciascuno di noi ha ben poche ragioni di compiacimento e molti buoni motivi per preoccuparsi dell’incedere del mondo.

Tra i rischi cui siamo esposti, però, credo che una debba prevalere: non accorgersi che il problema primario da risolvere è il recupero di un’autentica libertà, quella che l’età moderna ha assurto – spesso solo in teoria - a valore assoluto. Negli ultimi 50 anni e ancor più negli ultimi 30, infatti, ci siamo illusi di aver conquistato una piena libertà individuale mentre ai nostri giorni i più sono “schiavi inconsapevoli” !!!

Partiamo dalla definizione di Wikipedia, la fonte che nell’era digitale sta riscuotendo – non sempre a ragione - il più ampio riconoscimento: “per libertà s'intende la condizione per cui un individuo può decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costrizioni, ricorrendo alla volontà di ideare e mettere in atto un'azione, mediante una libera scelta dei fini e degli strumenti che ritiene utili a realizzarla”. L’elemento costitutivo della libertà (di pensiero, espressione ed azione) e del relativo libero esercizio (mediante la scelta dei fini e strumenti) è, in questa definizione, rintracciabile nella locuzione “senza costrizioni” .

Figlia di un’evoluzione culturale che nel pieno della guerra fredda esaltava l’importanza – per ampi tratti condivisibile - di non subire ingerenze statali, credo che l’interpretazione oggi prevalente di libertà continui ad affermare una relazione biunivoca tra individualità e libertà, riscontrabile in moltissime circostanze della storia moderna ed esprimibile con: “Io devo essere libero di fare ciò che voglio senza che alcuno abbia titolo di intervenire ed impedirmelo”. Automaticamente, l’Altro da sé diventa un ostacolo, implicito o esplicito, alla propria libertà, quindi meglio tenerlo lontano.

In altre parole, mi pare che in nome della libertà si desideri, consapevolmente o meno, essere posti nelle condizioni di non dover avere (necessariamente) relazioni o condivisioni con gli altri, se non per il limite negativo di non cagionare loro danno diretto e specifico. Affinché ciò possa accadere, meno regole e meno principi da rispettare ci sono, meglio è: se ciascuno deve essere legittimato a fare ciò che vuole, non possono esserci (troppi) principi, giudizi, metodi o criteri validi per tutti ma ognuno deve essere libero di avere i propri senza che altri rappresentino restrizioni.

Per chi ancora si interroga (e sono in tanti) sul merito di studiare la storia e la filosofia antica, mi preme ricordare che il concetto di libertà non è sempre stato inteso come oggi avviene.

Socrate, Platone e Aristotele delineano un legame inscindibile tra la conoscenza dell’ambito umano (personale e collettivo) in cui l’agire si esplica, la scelta di voler produrre certi effetti in quel medesimo ambito e, come terzo elemento, la libertà di poter compiere proprio quella scelta e le azioni conseguenti.

Il pensiero antico, dunque, riconosceva la libertà nell’espressione di
una ‘scelta consapevole
’.

Ora, senza volermi avventurare nell’esegesi del concetto di libertà né tantomeno nella speculazione filosofica avvenuta nel corso dei millenni, anche perché non sarei sufficientemente preparato, credo, tuttavia, che l’indicazione degli antichi possa essere uno stimolo importante per valutare un’ipotesi di cambiamento concreto. Se, dunque, appare stimolante pensare alla libertà come “scelta consapevole”, consapevole di cosa?

Delle conseguenze del proprio agire rispetto a sé e al prossimo, in senso aconfessionale, dunque alla collettività cui si appartiene, alla quale è dovuto un rispetto almeno paritario a se stessi.

Il trinomio conoscenza-scelta-libertà pone in luce due caratteristiche essenziali:

  1. colloca la libertà nella relazione tra sé e gli altri;

  2. esclude l’estemporaneità o l’istinto da una preordinata tutela di libertà.

In questa prospettiva, l’individuo singolo non è un’identità estranea a e da chi o cosa lo circonda e quindi non può invocare un primato rispetto ad essi in nome della propria libertà. Non solo. L’esercizio di libertà è riconducibile alla volontà di produrre conseguenze di cui si ha conoscenza.

E’ immediata, pertanto, la contrapposizione tra “scelta senza costrizioni” e “scelta consapevole”: nella prima, il nucleo della libertà risiede nell’astensione di soggetti terzi ad intervenire rispetto all’agire del singolo; nella scelta consapevole, la libertà si concentra nella responsabilità di ogni persona rispetto a sé e agli altri mentre l’assenza di coercizione è un presupposto entro certi limiti necessario ma non costitutivo della libertà stessa. In contrasto alla lettura attualmente prevalente, la “scelta consapevole” rende l’Altro da sé parte centrale della mia libertà.

Il momento storico di cui tutti ci lamentiamo riviene, a mio avviso, prima di ogni altra causa dall’incosciente schiavitù che la “scelta senza costrizioni” genera.

Per un verso, ci si illude che l’assenza di vincoli consenta un primato del singolo su ogni forma collettiva e, soprattutto, sulle ragioni dell’Altro; conseguentemente, si chiede all’autorità di rendersi garante di tale primato quale espressione della libertà da assicurare a ciascuno. Di contraltare, l’enunciazione “Io devo essere libero di fare ciò che voglio senza che alcuno abbia titolo di intervenire ed impedirmelo” induce ad un’omologazione comportamentale (verso cui tutti siamo spinti e a cui molti, soprattutto le generazioni più giovani, hanno aderito) nella quale dilagano modelli sociali svuotatisi di idee e valori.

Detto in parole semplici, rifuggire da principi cardine o da regole definite valide per tutti, in quanto ingiustamente limitative della libertà individuale, ha facilitato nell’opinione comune il convincimento che, in fondo, pressoché ogni comportamento sia accettabile, ossia “vale tutto”. In particolare nel corso degli ultimi 30 anni, sostenere principi di ordine generale a fondamento delle proprie scelte è stato tacciato quale atteggiamento assolutista attraverso cui soggiogare al proprio volere gli altri.

Per converso, una volta che si profila un modello comportamentale che riflette la vacuità in cui tutto è ammesso, basta conformarcisi per essere socialmente riconosciuti e accettati. Si vuole forse sostenere che l’elevazione ad esempio da imitare del ‘Tronista televisivo’ o del calciatore rasato o di un certo lassismo dei costumi sessuali non sia espressione di un’adesione di massa a comportamenti in cui, non essendo richiesto di pronunciarsi per condividere le idee sottostanti, è sufficiente uniformarsi alla prassi per sentirsi in linea con l’idea dominante e salvarsi da critiche sociali?

Ben sia chiaro, adottare comportamenti convenzionali per poter aderire ad un gruppo è prassi che esiste da sempre e così continuerà; ma sono le ragioni che portano all’adesione ad essere mutate radicalmente.

Negli anni ’70, la maggioranza degli adolescenti che indossavano il montgomery si omologava ad un scelta convenzionale di gruppo che simboleggiava l’adesione ad un’ideologia politica; oggi, l’abbigliamento degli adolescenti è assolutamente omologato ma mi appare guidato da ragioni difensivistiche e non già dal desiderio di affermare un proprio pensiero (riferito alla moda); è come se dicessero: “se io mi vesto come gli altri, nessuno mi può criticare o prendere in giro”

Il problema grave di questa omologazione, soprattutto quando ampliata a canoni generali di vita, risiede – a mio avviso - nell’implicita negazione di libertà cui dà origine. Ciascuno vuole affermare se stesso su gli altri ma al contempo si adegua a modelli di comportamento dei quali non partecipa alla formazione: il risultato è che, in nome della libertà, l’individuo tende a non formarsi proprie idee o ad affermare propri principi mentre finisce per aderire, anche solo per uso o ripetizione inconsapevole dello stesso atteggiamento, a ciò che altri determinano. Non voglio dilungarmi ma potrei fare molti esempi da quale abbigliamento o film on demand si acquista alle scelte di indirizzo professionale e spesso anche alle decisioni di voto in cabina elettorale.

A fronte di una libertà illusoria si cede ad essere necessariamente ed
inconsapevolmente etero-diretti
.

Questa è la ragione per cui se non recuperiamo il senso di responsabilità sotteso al concetto di libertà, non usciremo mai dalle sabbie mobili in cui stiamo lentamente ma progressivamente annegando.

L’ingrediente primo e principale per un futuro migliore, tanto per i giovani quanto per gli anziani, risiede nel ridare valore alla conoscenza come ricerca della comprensione di cosa veramente accade o si desidera: per esempio, la sommaria informazione cui i new media danno accesso non è sufficiente, occorre impegnarsi a cercare l’informazione completa e a valutarla in funzione degli effetti che realisticamente (e non fidandosi della maggioranza di chi scrive su Facebook) potranno accadere.

Tutto questo si traduce nell’interrogarsi sulle proprie scelte, ossia diventare consapevoli di cosa si intende raggiungere, e nell’agire solo quando si è pronti ad accettare la responsabilità degli effetti che le proprie scelte producono su se stessi e gli altri (persone e cose): a volte basta una sola semplicissima domanda a se stessi per concludere che non c’è motivo di parcheggiare in doppia fila ma in modo altrettanto diretto, anche il voto politico o le scelte professionali diventano più libere e soddisfacenti se scaturiscono da una vera consapevolezza degli effetti che essi produrranno nel proprio contesto di vita.

QUESTA È VERA LIBERTÀ PER ME PERCHÉ RESTITUISCE ALLA SINGOLA PERSONA L’AUTENTICA E CONCRETA REGIA DELLA PROPRIA VITA NELLA RICERCA DEI PROPRI OBIETTIVI E NELLA PIENA CONSAPEVOLEZZA DEL RUOLO CENTRALE DELL’ALTRO DA SÉ!!

Certo, può far paura perché implica la presa di responsabilità in un periodo storico in cui sembra che la missione quotidiana sia proprio quella di scaricare la responsabilità su qualcun altro. Essere padroni del proprio agire, tuttavia, non deriva da una dogmatica affermazione di libertà ma dalla consapevolezza e dall’assunzione di responsabilità di cosa comporta ogni relazione o mancata relazione tra sé e chi/cosa ci circonda.

Simone Rondelli

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