Stavo ultimando una nuova sollecitazione circa la centralità del Prossimo come cardine per superare gli antagonismi (a prescindere dall’esito finale) quando mi sono imbattuto (perché apparso sul mio cellulare come “Breaking News”) in questo articolo de Il Fatto Quotidiano intitolato: Padova 1.400 euro per fare il panettiere. I giovani fanno bene a rifiutare. (https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/02/15/padova-1400e-per-fare-il-panettiere-i-giovani-fanno-bene-a-rifiutare/4967896/). Benché non sia un lettore assiduo del quotidiano in parola, il titolo ha sortito il proprio scopo e mi sono avventurato a leggere l’intero pezzo giornalistico.
In questa sede, non intendo soffermarmi sulla sconcertante pochezza argomentativa (in cui non appare alcuna considerazione economica pertinente e tantomeno, quindi, una anche velata tesi propositiva – sull’equità dello stipendio, per esempio) e rinvio alle prossime settimane le riflessioni su alcuni temi importanti (il Benessere), qui trattati con una superficialità assoluta (data la tesi, non dovrebbero esistere portieri di notte in albergo, servizi notturni di taxi, turni notturni di medici, infermieri operai e via dicendo). Ma è ciò che viene detto implicitamente, senza esporsi, l’obiter dictum, che mi ha veramente disturbato: ‘i giovani hanno diritto ad avere un lavoro ben retribuito’, lasciando vuota la definizione di “ben” così da permettere sempre una via di scampo.
Si attacca il panettiere, senza soffermarsi sulle oggettive condizioni di economicità dell’attività artigianale complessiva, apparentemente in nome della (indiscutibile) libertà di rifiutare un lavoro, ma in realtà per difendere un “diritto” specifico dei giovani, però senza precisarlo in modo esplicito, o meglio …. per difendere il reddito di cittadinanza. L’invocazione, infatti, del giornalista delle regole di domanda e offerta in un mercato libero è del tutto pretestuoso: nessuno ha mai eccepito la facoltà di un giovane di rifiutare un lavoro, ma in questo caso la tesi vede contrapporre (implicitamente) al rifiuto di fare il panetterie il reddito di cittadinanza, e non già l’accettazione di un altro lavoro o l’assunzione di responsabilità dello stato di disoccupato!
Il mio punto, però, non è prendere le difese del panettiere e lungi da me disconoscere il merito dell’equità retributiva. La questione insopportabile è che si continua ad ingannare i giovani, porca miseria!!!
Nessuno ha diritto ad UN lavoro ! .. prima ancora di parlare di retribuzione. Le parole hanno un peso reale e non vi è necessità di una laurea in giurisprudenza per sapere che un ‘diritto’ esiste in tanto in quanto vi è un ‘obbligo’ da parte di un altro soggetto. E qui veniamo alla verità che si continua a non voler far vedere ai giovani:
Nessuno ha l’obbligo di dare UN lavoro !
Nessuna impresa, nessun artigiano, nessun individuo e neppure lo Stato ha l’obbligo di offrire a ciascuno un lavoro. Anzi, al più, è il contrario: ogni cittadino ha il dovere verso la comunità di contribuire al progresso materiale e spirituale della società.
I giovani devono sapere che UN lavoro non capita, né basta cercarlo ma si trova, ossia che è responsabilità di ciascuno di noi dimostrare con le proprie possibilità e capacità di poter generare o contribuire a creare valore per gli altri, in cambio di una retribuzione. Solo in questa prospettiva generale, poi, si può ben invocare, nel particolare, la tutela di chi è impedito, in tutto o in parte, per ragioni a lui/lei estranee ad acquisire o accrescere le proprie possibilità o capacità.
In futuro i giovani saranno molto probabilmente chiamati a dover intraprendere tanti lavori perché il processo di interconnessione tra i 7,5 miliardi di abitanti del pianeta produrrà cambiamenti sempre più repentini e radicali in ragione dei quali la “concorrenza” lavorativa sarà sempre più serrata e ci si confronterà accanitamente sul fronte della versatilità e capacità di rispondere alle nuove domande. Pertanto, se non si accetta la sfida di responsabilità nell’essere protagonisti del proprio lavoro, i rischi di insoddisfazione cresceranno a dismisura.
Ahimè, però, ancora una volta il richiamo ad un senso di responsabilità confligge con il concetto distorto – ai miei occhi – di Libertà da cui sono partito in questo Blog. A voler essere un po’ in malizia, potrebbe venire il dubbio che certi exploit politici servano per assicurarsi voti in cambio di una nuova ancora di salvezza per mantenere in vita una libertà deresponsabilizzata.
Vorrei, infine, ricordare che le mie modeste ma veramente sentite osservazioni trovano un certo riscontro nell’art. 4 della nostra Costituzione:
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società
Il diritto al lavoro non significa il diritto ad avere UN lavoro. Il dettato costituzionale è una norma di carattere programmatico, ossia stabilisce un principio fondamentale dell’ordinamento che, da un lato, impone allo Stato di promuovere tutte le iniziative necessarie affinché ciascuno possa essere nelle condizioni di svolgere un lavoro, e , dall’altro, attribuisce al cittadino la libertà di svolgere il lavoro che preferisce.
Già nella relazione al Progetto di Costituzione, Meuccio Ruini chiarì che il diritto al lavoro non doveva intendersi come “un diritto già assicurato e provvisto di azione giudiziaria”. In altre parole, le istituzioni non hanno il dovere di dare soddisfazione diretta alla pretesa di ciascuno a ottenere o conservare un’occupazione retribuita alle dipendenze di un datore di lavoro pubblico o privato, bensì devono promuovere le condizioni necessarie per conferire effettività al diritto al lavoro, il che investe una pluralità di materie che coinvolgono non solo la disciplina del rapporto e del mercato del lavoro, ma anche gli indirizzi generali della politica economica.
Oltre al riconoscimento del diritto al lavoro, il 2° comma stabilisce il dovere, per ogni cittadino, di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e morale della società: il che, ai miei occhi, significa che ogni lavoro o attività economica deve includere una funzione sociale, non solo quindi chi ricade nel Terzo Settore … ma su questo tornerò.
Simone Rondelli