MISSION: facilitare o amplificare la capacità dell’azienda nel proporre Leadership nel cambiamento, Critical Thinking, Entrepreneurship, Complex Problem Solving,
aumentando la contribuzione di ogni individuo coinvolto in tale processo.

Ascoltare i giovani per cambiare la “Scuola"

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Da quando ero bambino ho sempre sentito dire che “il futuro è in mano ai giovani” ma arrivato a cinquanta anni mi chiedo cosa sia stato e, ancor più oggi, sia veramente offerto ai giovani affinché possano affrontare il futuro con consapevolezza e capacità di scelta, orientamento e decisione.

Per dirla in breve e provocatoriamente contro-corrente, ritengo che l’offerta educativa e formativa ai ragazzi e alle ragazze dall’infanzia fino ai 25-30 anni (a livello sia istituzionale sia sociale in genere, includendovi spesso anche la famiglia) sia stata sempre più in declino fino a giungere ai giorni nostri in cui i giovani devono costruirsi il proprio futuro in un contesto di caos assoluto: crisi valoriale conclamata, benessere economico quale prevalente (se non unico) metro di giudizio personale e sociale, e velocità di cambiamento del mondo loro circostante con ritmi mai sperimentati prima nella storia dell’uomo.

Pur non esimendomi dal muovere anche critiche e attribuzioni di responsabilità alle nuove generazioni, nel complesso, però, osservo con grande stima questi ragazzi e ragazze. Quando leggo o sento gli allarmi verso i ‘bamboccioni’, gli ‘sdraiati’, i ‘choosy’ o i ‘beoti’, non mi sfuggono alcuni esempi specifici, ma credo sia inopportuno generalizzare e, soprattutto, occorre ben porre a noi che quello stadio della vita abbiamo, ahimè, superato alcune domande, tra le quali:

  • Cosa è stato insegnato ai giovani? E da chi?

  • Chi ha generato il (dis)valore dell’apparenza?

  • Chi ha proposto l’illusione del cammino professionale come una specie di procedura seguendo la quale si può giungere a ciò che si desidera?

  • Tu, cosa hai fatto per aiutare i giovani?

Un esame di coscienza da parte di chi è giunto ad essere adulto nei confronti dei più “piccoli” molto spesso non porta a risposte eclatanti. In questo senso, forse l’appunto maggiore che si può rivolgere ai giovani del passato (a partire dal sottoscritto) è di non essersi voltati indietro, una volta diventati adulti, per cercare di migliorare le deficienze che avevano subìto.

Per converso, quando si osserva il novero di interessi cui rivolgono attenzione gli adolescenti è molto più ampio di quel che si pensi e soprattutto, grazie anche alla facilità di accesso alle informazioni, molto più esteso di quanto non fosse quando ero io al liceo: blog sportivi, approfondimenti cinematografici, piccole iniziative imprenditoriali nei settori dei videogiochi, dell’abbigliamento, degli orologi, band musicali. E ancora, quando si rileva l’età media di chi guida, tralasciando meriti e demeriti ma soffermandosi solo sullo spirito di iniziativa, lo sviluppo della tecnologia o la reazione all’assetto politico stantio dell’Europa o ai cambiamenti sociali in molti paesi a basso reddito, non si può non dare merito ai giovani, fino anche a dover imparare tanto da loro.

L’aspetto che più mi preme portare in luce non è il gioco delle colpe ma sollecitare una riflessione su ciò che più merita di essere modificato per mettere realmente i giovani in grado di affrontare meglio il loro futuro e, come effetto conseguente, auspicare che essi consentano a noi di vivere una terza età in condizioni migliori di quanto oggi è dato fruire.

Personalmente, ho molta stima dei giovani di oggi e credo sia nostro dovere ascoltarli prima ancora di esprimere giudizi o, a volte, pensare di cavarcela dicendo loro di ripetere ciò che abbiamo fatto noi adulti, come se il nostro percorso di vita fosse stato sempre impeccabile e veramente differenziante. La testimonianza e l’esperienza delle persone adulte è preziosissima, ma nella misura in cui può essere colta dal giovane.

Anche in questo caso, “Avanti il Prossimo!”; al centro c’è il giovane: se lo si vuole aiutare, anzitutto occorre conoscerlo e comprenderlo, dunque ascoltarlo.

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Nella mia esperienza di padre, datore di lavoro e prima ancora di collega “anziano”, la domanda che ritorna con insistenza da parte dei più ”piccoli” è come coniugare i propri veri interessi con la possibilità di tradurli in qualcosa di utile, che sia un lavoro o la condivisione con altri; al pari, il timore maggiore nasce dal disorientamento, malgrado tanti anni di scuola e università, rispetto al mondo del lavoro e, più in generale, ai cambiamenti sociali.

Rispetto a queste istanze, penso che i primi e più importanti spazi cui rivolgere un’ipotesi di cambiamento radicale siano l’educazione e la formazione, distinguendo la formazione, ricondotta all’addestramento e all’ambito dell’istruzione, dall’educazione, votata a trasmettere valori e modalità di comportamenti.

In vero, il tema educativo richiede un’approfondita analisi e ricerca dei profili valoriali del nostro tempo e porta con sé caratteri soggettivi che al contempo lasciano spazio da subito a ciascuno per intervenire ma limitano la possibilità in prima battuta di una manovra generalizzata. Diversamente, la necessità di rivedere l’impostazione scolastica, includendovi l’università e anche l’insegnamento professionale, appare ai miei occhi un’urgenza oggettiva che non può più rimandarsi e per la quale ogni persona dovrebbe provare a dare un contributo.

Secondo una recente statistica, il Paese con la più elevata qualità della vita è la Finlandia, compreso e soprattutto per gli anziani. Guarda caso, in altra sede, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico conferisce al sistema scolastico finnico il primo posto al mondo per qualità ed efficacia da molti anni, almeno dal 2010. Sempre il centro di ricerca dell’OCSE, attribuisce al sistema scolastico uno dei pesi maggiori nella stesura del Better Life Index.

Il cuore del problema, almeno in Italia, risiede, per chi scrive, nella connotazione tecnicista assegnata al significato di formazione, cioè la parola si colloca sul piano della formazione professionale o aziendale, per indicare quel complesso di pratiche volte alla trasmissione-acquisizione di competenze tecniche relative a obiettivi strategici. Dalla riforma Berlinguer del 1999 fino alla Buona Scuola (e tutte quelle intermedie) si è data alla formazione il compito di insegnare a Saper Fare e, nella mia lettura, questo si sta rivelando inadeguato o, quantomeno, inefficace.

Bisogna ammettere che il Saper Fare nasce e si evolve in un contesto economico in cui mancavano certe competenze e la domanda di lavoro mutava a ritmi, tutto sommato, blandi. Oggi, invece, le competenze non mancano e anche quelle più innovative soffrono della circostanza per cui l’accelerazione impressionante dei cambiamenti di domanda le rende desuete in poco tempo.

Il germe del deterioramento, tuttavia, cui si faceva riferimento all’inizio di questo articolo è probabilmente da ricercarsi nell’abbandono della centralità della Persona, da cui discende un progressivo passaggio in secondo (..mi piacciono gli eufemismi..) piano dell’importanza dell’Essere. La deriva più miope del Saper Fare è teleologica: Fare per Avere (il che, peraltro, oggi è interpretato come viatico per Apparire), dinamica nella quale la Persona è esclusa perché estranea alla funzione di utilità, anzi secondo la concezione prevalente di Libertà ne diventa limite, ostacolo.

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Mi piace, a questo punto, ricordare i tratti salienti della contrapposizione tra Sofisti e Socrate: i primi privilegiarono l'insegnamento di abilità (più precisamente, grammatica, retorica e dialettica) utili ai giovani per avere un buon successo nella vita pubblica e nelle attività ad essa collegate; Socrate mirava invece a sviluppare le capacità interiori di chi seguiva i suoi insegnamenti e non tanto le abilità pubbliche. Di più, i Sofisti si riconoscevano più come propugnatori di tecniche, intese come insieme di conoscenze teoriche specifiche arricchite da capacità tecnico-pratiche, in grado di dispensare risposte; al contrario, Socrate, mosso dal convincimento che la vera conoscenza sta nella consapevolezza di non sapere, non forniva direttamente concetti, idee, teorie, ma piuttosto tendeva a instillare dubbi, perplessità, discussioni in grado di smuovere la ricerca (in primis quella interiore) e di lasciare la determinazione delle risposte a ciascun individuo.

Richiamando queste differenze, la formazione dovrebbe virare nuovamente sulla Persona affinché essa possa acquisire metodi e contenuti per Saper Essere in grado di Creare Valore per sé e per gli altri: così i giovani potranno affrontare i cambiamenti con confidenza e capacità adeguate ai loro interessi e ai continui mutamenti del mondo che li attende protagonisti.

Prossimamente, mi soffermerò con maggior dettaglio sulle direttrici di una possibile inversione di rotta formativa, ma da subito auguro a noi tutti adulti di imparare ad apprezzare e goderci i nostri giovani!

Simone Rondelli

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A cosa serve la scuola?

Buon Ascolto !