Il 25 febbraio 2020 l’Ansa batte la notizia che dalla sonda Insight della Nasa proviene la prova che il pianeta Marte è geologicamente attivo, il suolo trema come sulla Terra e ulteriori presupposti per l’esistenza (magari passata) di vita sul pianeta sono confermati. Lo stesso giorno viene pubblicato in Gazzetta Ufficiale il DPCM n.47 avente ad oggetto «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19»: il grado di allerta per il contagio virale cresce in proporzione alla presa di coscienza della carenza di materiale sanitario di base, di strutture ospedaliere idonee e di apparecchiature di rianimazione necessarie a far fronte ad una pandemia serissima in atto da mesi e in ascesa esponenziale, con caratteristiche sconosciute ancorché, fortunatamente, ben lungi dalla spietatezza dell’Ebola.
Due eventi straordinari nei rispettivi ambiti, ma ciò che a me induce una profonda riflessione è la simultaneità temporale, da un lato, e la portata mondiale delle difficoltà sanitarie, dall’altro. Se fingessi di porre queste notizie in un libro di storia, penserei che la prima seguisse la seconda a distanza di almeno 50 anni. Invece no.
Oggi, ancora tutti rinchiusi giustamente in casa per limitare la progressione del contagio, il primo pensiero (e, per chi ci crede, la preghiera) va a chi sta soffrendo e a chi lotta per tenersi in vita, ma subito dopo non riesco a placare la domanda sul “se” e sul “cosa” cambierà una volta terminata l’emergenza. Forse, l’impeto della domanda trova origine nel voler distrarsi dal susseguirsi di tristi notizie e proiettarsi al domani con un velo di forzato ottimismo per farsi coraggio.
Al contempo, tuttavia, “cosa succederà dopo?” evidenzia una fortissima preoccupazione perché oggettivamente le premesse per un futuro migliore stentano ad emergere. Non solo in Italia.
Se ci siamo preoccupati di sviluppare ogni sorta di tecnologia, ma abbiamo sino a pochi giorni fa ignorato la priorità della salute; se ci siamo allarmati per il rischio di letalità del corona-virus, ma abbiamo trascurato di intraprendere azioni preventive concrete in tempi e modi calibrati sullo stato di fatto di ogni paese, aspettando invece solo di seguire i protocolli o le procedure dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a prescindere dal numero di posti letto ospedalieri disponibili; se mentre scrivo non c’è espressione di sorta sulla tutela a venire della scuola, della cultura e della pace sociale; se la tutela dell’economia e della sua ripresa (almeno in Europa) è affidata ad operazioni di assistenzialismo disconnesse da una politica economica, votata alla crescita e al progresso, che non c’è e che nessuno dimostra di saper imbastire,
QUALE FUTURO È POSSIBILE IMMAGINARE ?
COME POSSIAMO CONFIDARE IN UNA CAPACITÀ DI CAMBIAMENTO CHE SAPPIA FAR FRONTE AGLI EFFETTI DI QUESTA PANDEMIA?
Se il Dalai Lama leggesse queste domande, probabilmente ripeterebbe la nota frase “Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro.”. Osservazioni interessanti che spostano la prospezione su un piano di distacco da ciò che è materiale per lasciare maggior spazio allo spirito e alla contemplazione, i meriti dei quali sono profondi e di grande rilievo; nondimeno, spirito e contemplazione non possono “opporsi” alla necessità di relazione tra persone in continuità con la nostra storia e cultura di indiscutibili radici cristiane.
E allora mi sovvengono altre due affermazioni rimaste nella memoria, entrambe di San Giovanni Paolo II quando affermò che “il futuro inizia oggi, non domani” ed esortò, parlando ai giovani di Genova nel settembre 1985, a “non ‘lasciatevi vivere’, ma prendete nelle vostre mani la vostra vita e vogliate decidere di farne un autentico e personale capolavoro!”.
Non intendo avviare un confronto tra religioni ma, molto più modestamente, trarre spunto per incoraggiare prima di tutti me stesso a cercare (oggi a pensare e appena possibile ad agire) di dare un contributo ad una risposta positiva ai quesiti sollevati. Probabilmente per congenito ottimismo,
sono confidente che si possa giungere ad un futuro migliore, ma occorrerà assumersi maggiori responsabilità: attendere una soluzione taumaturgica concepita solo da altri non sembra un’opzione percorribile.
È giunto il momento di venire allo scoperto perché il pensiero di tutti può essere prezioso per superare le difficoltà che ci aspettano. Ciascuno nel proprio ambito di azione dovrebbe essere propositivo e insieme, ove permesso, a livello sociale dovremmo far sentire le voci di quelle molte persone, anche se non per forza allineate, che sono certamente capaci di offrire spunti di riflessione e di azione di qualità superiore a ciò di cui fino ad oggi siamo stati testimoni.