Danaro, Stato e Benessere
Negli articoli precedenti ho sostenuto una relazione causale tra libertà e raggiungimento del proprio successo o interesse individuale per il tramite della centralità dell’Altro da sé. In altre parole, per ottenere ciò che voglio agendo in libertà, devo porre il prossimo al centro del mio pensiero e delle mie azioni: tanto più gli Altri beneficiano personalmente del progetto verso il mio obiettivo, tanto più essi sono committed a far sì che io lo raggiunga e, combinando gli effetti, che si migliori il contesto comune.
Oggi, vorrei confrontare questa mia proposta provocatoria con la concezione di Benessere.
Diversi studi della Commissione Salute dell'Osservatorio Europeo su Sistemi e Politiche per la Salute riassumono il benessere come "lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale di ben-essere che consente alle persone di raggiungere e mantenere il loro potenziale personale nella società".
Questa definizione è particolarmente suggestiva per me non solo perché lascia trapelare l’esistenza autonoma di tante dimensioni del benessere (economico, fisico, culturale, sociale ecc.), ciascuna nelle proprie declinazioni (reddito, risparmio, assistenza medica, scuola, arte ecc), ma soprattutto perché sancisce una correlazione strettissima tra lo ‘star bene’ del singolo e il relativo contesto di riferimento. Anzi, il benessere viene proposto proprio come quella condizione di armonia tra uomo e ambiente di appartenenza, da cui poter misurare la qualità della vita.
Non a caso, peraltro, si ritrova in molte letture la scansione del Benessere in 10 o 12 tra voci e binomi. Tipicamente: reddito e ricchezza, lavoro e risparmio, standard abitativi, salute e assistenza medica, bilanciamento lavoro-tempo libero, formazione e competenze, pensioni e vita sociale, qualità dei servizi e politica, qualità dell’ambiente e sicurezza.
Il passo successivo da compiere, dunque, è calare la dimensione individuale del benessere negli ambiti di vita, ossia misurare “lo stato emotivo, mentale, fisico, sociale e spirituale” in funzione di quattro domande in relazione a ciascuno di essi: (i) quanto sono soddisfatto? (ii) cosa non vorrei perdere? (iii) cosa vorrei ottenere o diventare che non ho o non sono? (iv) cosa vorrei recuperare di ciò che ero o avevo e che ora non sono o non ho più?
Le risposte a queste quattro domande determinano il grado di benessere attuale e il desiderio di migliorarlo per ciascuno di noi. Il benessere complessivo, quindi, è funzione di due elementi: primo, mantenere la parte “buona” della relazione attuale con l’ambiente in cui vivo e, secondo, la realistica possibilità di soddisfare bisogni nuovi o risolvere problemi che permangono.
In questa prospettiva, è comune sentire che il danaro sia la panacea di tutti i mali.
Non tanto in ragione di una ideologia capitalista o liberista, quanto sull’assunto che più danaro accumulo, maggiore è la capacità di acquisto di benessere in ogni altro ambito. Il ricco può accedere alla sanità privata, alle scuole private migliori, non dipende dalla pensione, può comprarsi un quadro di Caravaggio o di Picasso, si può permettere un servizio di sicurezza privata e avere case nelle parti meno inquinate del mondo e così via dicendo.
Vero. Il danaro è necessario e utile, ma anche portato agli estremi dell’opulenza non è mai sufficiente a garantire il pieno benessere personale sia perché di per sé il danaro non può comprare l’armonia vera tra l’uomo e l’ambiente di appartenenza sia perché la mente e il cuore, ossia il benessere emotivo e quello mentale o spirituale, non si alimentano (solo) “comprando qualcosa” ma richiedono inevitabilmente una relazione con se stessi e con altri. Questo, tra l’altro, dimostra anche l’essenzialità della cultura e dell’arte al vero benessere di chiunque, giovane o anziano, ricco o povero e ovunque nel mondo.
Perdere di vista questo immenso limite del danaro è molto pericoloso e potenzialmente devastante. Soprattutto per i ricchi! Associando la piramide di Maslow (secondo cui col passare del tempo la soddisfazione dei bisogni primari o fondamentali porta alla nascita incessante di altri bisogni e desideri) con la teoria economica delle curve di indifferenza nelle funzioni di utilità (secondo cui dopo un certo livello di consumi, l’utilità marginale si appiattisce), si può concludere che mentre i bisogni e i desideri di ciascuna persona non cessano mai di crescere ma spesso cambiano natura, il danaro, soddisfatte certe tipologie e quantità di desideri o bisogni, diventa inutile.
Più in generale, la relazione tra bisogni e benessere è propria anche delle politiche sociali di ogni Stato. Con l'espressione Welfare State si intende un insieme di servizi ‒ istruzione, assistenza sanitaria, pensioni, protezione contro malattie, infortuni e disoccupazione ‒ che lo Stato offre ai propri cittadini gratuitamente o a costi molto bassi. I criteri di definizione del welfare variano considerevolmente per ogni sistema sociale, sia in ragione dei giudizi di valore, sia per la loro inseparabilità rispetto a un altro fondamentale concetto − quello di giustizia sociale − anch'esso caratterizzato da una fisionomia che muta nel tempo e nello spazio. Pertanto, se un livello adeguato di nutrizione, salute, vestiario, possono considerarsi condizioni di benessere minimo presente in ogni sistema sociale, ogni comunità esprimerà ulteriori ‘bisogni essenziali’ connotati dall’impronta culturale sottesa alla società stessa. In ogni caso, il benessere auspicato dal singolo non potrà mai corrispondere a quello che uno Stato può astrattamente concepire per tutti i cittadini.
Dunque, anche pensare di attribuire allo Stato la sola responsabilità del proprio benessere appare errato e foriero di enormi insoddisfazioni per una triplice ragione: le priorità e le risorse di uno Stato sono principalmente concentrate sui bisogni primari, lo Stato nulla può rispetto a quel novero di relazioni che segnano l’armonia del singolo con il rispettivo ambiente di appartenenza e – per l’ennesima volta – a mio avviso la responsabilità ultima del proprio benessere ricade su ciascun individuo.
E qui troviamo il punto di contatto con la centralità del prossimo. Senza nulla togliere agli indiscussi meriti degli studiosi che si dedicano in campi diversi al tema del benessere, la ricerca concreta del proprio star bene è frutto prevalente di un esercizio quotidiano incentrato sull’alterità. Se si cerca la risposta alle quattro domande sopra descritte secondo il principio della priorità o simultaneità di benefici per chi mi circonda rispetto ai miei, riesco a soddisfare miei bisogni e desideri di ogni natura più celermente e più stabilmente.
Ci tengo a sottolineare che l’alterità non esclude niente e nessuno: al contrario, la forza risiede proprio nella capacità di includere oltre alle persone anche lo Stato, il danaro, la cultura e in generale tutte le relazioni che portano armonia tra l’individuo e il contesto di riferimento.
Questa sequenza di pensieri porta a ritenere che ciascuno è primariamente responsabile del proprio Benessere o, leggendo al contrario, non deve aspettare inerme che l’incremento della propria soddisfazione giunga come diritto naturale da altri o dallo Stato. Certo, esistono diritti civili, amministrativi e sociali che discendono dall’appartenenza ad una comunità e dal contributo che ad essa l’individuo presta ma questi rappresentano solo piccoli, ancorché a volte molto importanti, pezzi del puzzle della vita quotidiana.
Simone Rondelli